Fulvio Palosciala dans Repubblica (22/04/2012)

Inquietudini nascoste nel collegio degli ultimi

« La joyeuse complainte de l’ idiot », tradotto ora in Italia da Tommaso Gurrieri per Barbès col titolo « La dimora », è uno dei romanzi di maggior successo di Michel Layaz, scrittore svizzero quasi cinquantenne amatissimo nel suo Paese, forse per la capacità di saperne narrare le inquietudini nascoste dietro una facciata intonacata di prosperità incrollabile. Svizzero era Robert Walser – con cui Layat condivide l’ acuta capacità di osservazione, la fascinazione subìta dalle vitea perdere- in Svizzera Dostoevskij scrisse parte del suo Idiota : ma il collegio – la « dimora », appunto – di cui l’ autore racconta nel suo romanzo poco ha che fare con quello dove Jakob von Gunten impara a non avere ambizioni, o con la visione « cristica » dell’ idiozia nutrita dal grande russo. Questa strana istituzione per adolescenti incapaci di adattarsi al mondo si offre a due letture : il rifugio degli ultimi esemplari di un’ umanità che riesce a preservare quel guizzo, quella scintilla, quell’ attitudine che in apparenza esce fuori dai binari della normalità, ma che in realtà urla la presenza di un cuore, di un’ anima, di uno spirito. Ma anche lo specchio di una società stravolta dove il potere è in mano agli incapaci. L’ io narrante di questa cronaca da un collegio perturbato è un giovane pensionante, l’ idiota del titolo francese che fa del proprio candore la lente d’ ingrandimento con cui osserva – tra sarcasmo e compatimento disperato – soprattutto chi lavora nel collegio. I medici, i professori che sono lì per « rieducare » i giovani internati (la ragione della loro presenza non è specificata, si parla di un generico passato oscuro, ma anche di genitori poco propensi ad accettare una benché minima traccia di diversità nei loro figli) in realtà si rivelano anche loro portatori di un germe di follia : Monsieur Alberto, incaricato delle pulizie con una spugna in putrefazione che tutto rende puzzolente, la bulimica (di cibo e di sesso) Mademoiselle Josette, che si occupa dell’ accoglienza, Doctor Félix con i suoi ritrovati medici impossibili (sarà lui a salvare la Dimora dalla chiusura vendendo le lacrime dei ragazzi ospiti, dalle straordinarie capacità terapeutiche). Un personale strambo, improbabile, inutile sul quale si erge potente la figura di Madame Vivienne, presidentessa e direttrice generale, metafora di un potere grottesco e mellifluo, invasivo e divorante (ma anche grande madre a cui niente è negato) che – a dispetto dei suoi compiti riesce a rendere i pensionanti della Dimora ancora più folli. Solo due sono gli internati di cui l’ idiota ci racconta : David con le sue « eruzioni verbali », e Raphaël che, come un bambino, stabilisce un legame con il mondo leccando ogni cosa. I contatti con la realtà esterna sono pochi, e tragici : il giornalista che approda alla dimora per un reportage, si manifesta come una minaccia capace di scardinare dalle fondamenta questo piccolo paradiso borderline che Layat racconta nell’ unico modo possibile. Ovvero, come scrive l’ io narrante, con « il talento di un romanziere, la minuzia di un cronista, la visione di Alessandro il grande, lo scetticismo di un filosofo, il sentimentalismo di un poeta, la credulità di un giovane vergine, la brillantezza di un avventuriero, i sarcasmi di una vecchia prostituta ».